L’assegnazione della casa coniugale segue il convivente di fatto affidatario dei figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, in base al supremo interesse dei figli. Tale principio vale a giustificare la compressione momentanea dei diritti di godimento o di proprietà del genitore non affidatario della prole (si vedano Cass. 17971/2015, Cass. 10102/2004).

La convivenza di fatto (cosiddetta more uxorio) costituisce la libera scelta di due soggetti che decidono di non essere vincolati dalle regole che il legislatore ha sancito per il matrimonio.

Per tale ragione, quando i conviventi di fatto decidono di separarsi, i loro rapporti non sono regolati dalle norme in materia di separazione e divorzio, ma solo da quelle generali.

È ormai esperienza comune, tuttavia, che in casi come quelli sopra citati, non mancano conflitti molto simili a quelli che nascono tra coniugi. Se l’ordinamento tenta di risolvere detti contrasti con l’applicazione dei criteri generali, soprattutto in materia di proprietà, più complessa si presenta la situazione in presenza di figli.

Data la prevalenza che va attribuita alla tutela dei minori, come noto, da tempo, si è stabilito il principio di parità tra figli naturali e figli legittimi, così da rendere applicabili ai primi le norme espressamente dettate per i secondi.

Sulla scorta di tale premessa si è affermato che la presenza di figli giustifichi la tutela del diritto di abitazione della famiglia di fatto in caso della sua rottura, ovvero, si è ritenuto che l’ assegnazione della casa familiare, prevista in tema di separazione e di divorzio, possa trovare applicazione anche con riguardo ai figli naturali.

Per poter affermare l’applicabilità dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare anche nei casi di interruzione di convivenza more uxorio, occorre concepire che detto istituto sia stato previsto esclusivamente e principalmente come strumento di garanzia a protezione dei figli minori.

A detta soluzione era già giunta la Corte Costituzionale, con sentenza n. 166/1998, la quale, pur dichiarando infondata la questione di legittimità sollevata in merito all’ art. 155 c.c. nella parte in cui non prevedeva la possibilità di assegnare la casa familiare al genitore naturale affidatario di figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, riteneva che il problema potesse essere risolto attraverso un’interpretazione estensiva della normativa in tema di filiazione naturale, alla quale, certamente, andavano riconosciuti gli stessi diritti della filiazione legittima.

Un altro orientamento giurisprudenziale stabilisce che in presenza di figli anche in caso di convivenza di fatto è possibile l’intervento del giudice a norma dell’ art. 155, comma 4, poiché il provvedimento di assegnazione al coniuge separato, affidatario dei figli, del diritto di abitare nella casa familiare troverebbe fondamento in quella dei figli – anche naturali – poiché questi ultimi hanno il diritto di non subire improvvise e dure modifiche nelle proprie abitudini di vita (Trib. Cagliari 24 febbraio 1998; Trib. Firenze 29 giugno 1998).

In conclusione, il genitore affidatario del minore o del maggiorenne non economicamente autosufficiente, nato durante un rapporto di convivenza more uxorio e riconosciuto da entrambi i genitori, ha diritto a vedersi assegnare la casa familiare, anche se questa sia di esclusiva proprietà dell’altro genitore, perché il figlio possa continuare a vivere nello stesso ambiente, limitando il suo disagio e le difficoltà che gli deriveranno dalla cessazione del rapporto tra i genitori.

Vi è da precisare come la norma sull’ assegnazione della casa familiare riconosca al giudice il potere di attribuirla anche al genitore che non ne sia il proprietario, realizzando una deroga ai principi generali dell’ordinamento in materia di titolarità dei diritti. Ponendo in evidenza i bisogni del genitore estromesso dal godimento della casa familiare, anche di sua esclusiva proprietà, si è ritenuto possibile limitare l’oggetto dell’assegnazione, avendo riguardo non solo ai beni mobili ivi contenuti, ma allo stesso immobile.

Quando si verifica un’ipotesi come quella rappresentata nel caso sopra menzionato, risulta necessario eseguire un bilanciamento degli interessi e delle esigenze delle due parti, da un lato, il genitore escluso dal godimento della casa familiare, dall’altro si pone l’altro genitore, quale portatore degli interessi della prole, a cui è assegnata l’abitazione.

In materia di separazione e divorzio si è già parecchie volte affermata la possibilità che oggetto dell’assegnazione sia solo una parte dell’immobile, a condizione che detta porzione risulti pur sempre adeguata ai bisogni del genitore e dei figli, senza che questi ultimi debbano sopportare eccessivi sconvolgimenti. Questa possibilità è in concreto realizzabile solo ove l’immobile presenti caratteristiche tali da renderne possibile la divisione, e rendere totalmente indipendenti le due parti così ottenute.

Il bilanciamento tra i due interessi contrapposti va operato con molta cautela, avuto riguardo alle conseguenze che ciò potrebbe portare nella vita dei figli, ai cambiamenti strutturali che una divisione comporta, nonché alle spese da sostenere.

Vi è infatti anche da tenere presente che la compressione temporanea, fino alla maggiore età o comunque all’indipendenza economica della prole, del diritto di godimento o di proprietà del genitore non affidatario, sia un sacrificio possibile da richiedere ad un genitore, in vista dell’esclusivo interesse dei figli e tale giudizio compiuto dal giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità.